Ritornare

 

 

Sono felice. Ogni volta l’energia di Istanbul mi porta su.

Mi accorgo che cammino sorridendo. Sempre. Lo faccio ogni volta. Sorrido alla vita, a tutte le me stessa che sono stata ( anche quelle che prenderei a parolacce), e a quelle che sarò. Il vento sul Bosforo ha un colore speciale. Ha un suo suono, un suo odore. È’ un vento che mi vuole bene, che srotola i pensieri dai miei capelli e li getta in mare, uno a uno. Istanbul mi allarga il respiro. E’ un amore.

Ritrovo ogni riga del libro che ho scritto. ‘ Istanbul. A volte un amore comincia così, con un suono. ‘Sì, ed è’ un amore che non si stanca mai. Ogni volta, all’arrivo, mi domando cosa può darmi al ora questa città in cui sono stata infinite volte.

E dopo pochissime ore, so già che anche stavolta il tempo non sarà mai abbastanza. Mai.

E già mi prende , e mi riconosce, quella nostalgia dolce che alla partenza dovrà affiancare l’idea di un nuovo ritorno.

Istanbul e gli scrittori: Virginia Woolf a Costantinopoli III

istanbul

Fra tutte le cerimonie, quella dell'addio è la più gravosa per l'umore; e il compito non è certo semplice quando si dice addio a una città e non a una persona. Bisognerebbe essere capaci di dire qualcosa di adatto all'occasione; e se la mia lingua fosse più raffinata penso che potrei dire molto in ogni caso, che colpisca nel segno o meno.

Adesso per esempio c'è l'enigma i Santa Sofia. Perché è la chiesa più criptica d'Europa? Perché diventa sempre più bella e misteriosa via via che la si conosce, o che se ne conosce l'involucro?

Bisogna iniziare dal principio e confessare che l'enigma sono i Turchi stessi; un enigma difficile, labirintico, dal quale menti sagge - addirittura il Times - vengono ancora costantemente disorientate. Infatti la prima impressione è anche l'uktima dopo una settimana; e se da un lato è superficiale, dall'altro è anche vivida. Costantinopoli è un luogo di nerci scoperti, e muscoli tesi; questi vi abbiamo letto non appena abbiamo visto la città distesa ai nostri piedi; ma proseguendo nella metafora abbiamo anche detto che gli occhi di questa gigantessa erano velati.

Le strade e i ponti sono affollati di uomini e donne, cavalli e carrozze, ecco un diplomatico inglese e un povero del luogo che si ripromette di partire per il pellegriganngio alla Mecca tra quindici giorni. Un florido commeciante lo spintona mentre si dirige al lavoro; ciononostante lo capisce; può darsi che i due si incontrino su qualche tappeto da preghiera al tramonto.

C'è abbastanza fede, e abbastanza commercio, e abbastanza vita perché entrambi continuino a turbinare celeri nel flusso.

Nessuno di coloro che hanno visitato le Moschee e i bazar può dubitare della forza della corrente. Ma allo stesso tempo, nessuno sa esattamente dove si dirigaM una dozzina di storie locali indicano che può prendere un canale sotterraneo, e sono passati a malapena dieci anni da quando i turchi e gli armeni si sono massacrati per le strade. Perciò, se il tuo destino fosse passare la vita qui, potresti pensare che questo approdo comporti qualche rischio, come un luogo di riposo sotto un vulcano. Fortunatamente un viaggiatore non deve preoccuparsi delle intricate radici di tutti questi strani fiori che vediamo sulla superficie. La stranezza è affascinante, e poi la città nella quale si recita il dramma si presta abbastanza bene per qualunque tragedia.

Ma è possibile spiegare tutto ciò su un foglio di carta bianca? Bisogna ricordare non solo il velo mattutino di nebbia, e le imponenti cupole che lo peentrano scintillanti, e tutto l'oro e il bianco e l'azzurro della città a mezzogiorno, ma bisogna anche pensare alle stradine gremite di persone in carne e ossa, bisogna ricordare i turbanti e le donne velate, i cavalli arabi e i cani gialli, e alla fine bisogna ritornare alle grandi moschee, e vederle gremite ancora una volta da una folla scura che si inginocchia e si solleva e grida a gran voce la propria fede.

Di giorno bisogna vedere tutto questo, e sentire lo schiamazzo della strada e del bazar, di notte, quando anche i cani sono silenziosi, bisogna sentire il attere smorzato di un tamburo, e ascoltare una voce che non sale nè scende, ma invoca sempre, con impegno e fiducia, un qualcosa che viene concesso al fedele che passa la notte in preghiera.

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