Il vero viaggio

Un vero viaggio è sempre un'apertura verso il dubbio, verso ciò che non conosciamo. Non è mai la conferma di ciò che sappiamo.

La bambina dei fiori rossi

24 giugno 2013

 

gezi parkNo, non erano tulipani. Erano fiori rossi. E lei li offriva ai passanti. Lei, la bimba con gli occhi grandi che ingoiavano il mondo. Me la ricordo, nei giorni di Gezi Park. La penso spesso. Penso al suo sorriso bello, ai suoi modi piccini e graziosi, ai fiori staccati con delicatezza dal gambo e regalati ai passanti.

E' rimasta uno dei simboli, per me, di quei giorni. Così piccola, ancora ignara del dolore dei grandi, ancora salva da quelle innocenze perdute che tratteniamo, dentro, come un rimpianto.

Sorrideva, e offriva fiori, mentre intorno la fiamma della rivolta incendiava uomini e donne, anziani, ragazzi.

Lei stava lì, sul prato. Non sapeva che da un momento all'altro sarebbe potuta arrivare la polizia. E allora sarebbero stati massacri, feriti, gas, getti d'acqua urticanti.

Quel giorno la polizia non arrivò. E lei fu salva.

Ma non so che ne è stato di lei.

Ricordo il suo sorrisone meraviglioso. Spero che stia bene. E che le sue manine di bimba continuino a regalare fiori e speranze.

 

Il più bello dei mari è quello che non navigammo

21 giugno 2013

 

navi istanbul pacini

"Il più bello dei mari è quello che non navigammo", scriveva il poeta turco Hikmet.

Il più bello dei mari, per me, è anche quello di Istanbul. Il mare che navigo con l'immaginazione, il mare nel quale mi immergo, muoioe  rinasco insieme alle onde, mi perdo.

Amo Istanbul e il suo mare, con le imbarcazioni che, osservate a distanza, sembrano quadri. Somigliano a un olio dipinto su tela.

Mi infondono un senso di pace, una libertà che si allarga dentro e mi fa sconfinare agli estremi del mondo.

Chi va a Istanbul dovrebbe arrampicarsi sulle terrazze e, da lassù, navigare verso orizzonti invisibili.

Mentre, il lontananza, si alza il canto del muezzin. E mi sento in pace.

 

 

In memoria di Mehmet

gezi park
 

Questi sono i ragazzi morti. Le foto appese su un barile. Scritte che non capisco. Quella sera, a Gezi Park, mi ha colpito soprattutto lo sguardo di Mehmet. E' serio, quasi ostile alla macchina fotografica. Come se avesse avuto un presagio, prima dello scatto. Come se la morte avesso soffiato, per un istante, sulla sua vita. Come se la rigidità dello sguardo annunciasse un'ombra. Ci incrociamo con gli sguardi. Ma lui non mi vede, non vede più nulla di questo mondo. Io ancora sì, ancora sono qui, in mezzo ai ribelli, e vedo la loro voglia di vivere. E tu non vedrai più nulla, non vedrai le cose belle ma non vedrai neppure gli orrori, Mehmet. E un giorno, chissà, altrove, forse ti riconoscerò.

Turchia, un po' di chiarezza

 

taksim

Questi giorni leggo giudizi facili sui fatti turchi, che non tengono conto della realtà complessa.

Condanno Erdogan e la brutalità della sua polizia, ma invito a non cadere nella trappola dell'Islam cattivo contro i democratici "buoni".

Erdogan ha saputo rilanciare l'economia turca con un governo forte, sì, che finora però non si era mai spinto a tanto.

E, in fondo, faceva comodo a tutti, il benessere economico dei dieci anni turchi. Certo, pian piano l'Islam è diventato più ingombrante, mano a mano che il consenso di Erdogan aumentava insieme a una visione sempre meno democratica e più personalista. Ma non si può parlare di ditattura del decennio di Erdogan bensì di un governo autoritario che solo negli ultimi tempi ha iniziato a virare verso personalismi pericolosi che hanno condotto alla ferita di Gezi Park.

Non è l'Islam, quello di Erdogan, ma uno strano miscuglio di Islam e capitalismo occidentale.

Si torna ai fondamenti islamici, ma si applicano le regole occidentali dello sviluppo e del consumo, molto lontane dalla "povertà" a cui invita la religione. L'Islam è severo quanto il cristianesimo, verso l'accumulod i soldi e ricchezze.

Quindi si tratta di un Islam "corretto", come da noi sono state "corrette" le tensioni cristiane.

Poi, quando si inneggia ad Ataturk, non scordiamo che, se mai ci fu un vero ditattore, fu proprio lui. Le sue proibizioni superarono di gran lunga quelle di Erdogan.

E allora propongo di riflettere su come sia il laicismo che la religione vadano liberati dal vizio di autoritarismi che poco c'entrano con la visione dell'uomo libero.

La Turchia è un paese passato da Ataturk a Erdogan, due facce estreme, una più, una meno, una soltanto negli ultimi anni, di uno stesso problema: una tolleranza reale verso la diversità.

E allora non dimentichiamolo, mentre, giustamente, condanniamo l'orrore di questi giorni.

Non dimentichiamo il modello turco che negli ultimi dieci anni è stato comunque accettato da tutti.

E non dimentichiamo che, finora, molti hanno tollerato le virate filoislamiche perché garantivano comunque benessere per tutti.

Detto questo, io sono con loro, con i manifestanti.

Ma non voglio vedere analisi raffazzonate che non tengono conto del modello turco, e del suo passato.