La mia Istanbul - Francesca Pacini
La mia Istanbul - Francesca Pacini

Questa non è la mia Istanbul

Mi sono innamorata di Istanbul dodici anni fa. Da quel momento non l’ho lasciata andare mai più. Ho due “polmoni” che mi danno ossigeno, uno è il deserto del Sahara, l’altro è Istanbul. Uno è la terra della mia anima, l'altra è la città del mio cuore. Ma in questa città rischio di non venire più. Ẻ passata  una legge folle che prevede la cattura dei 4 milioni di randagi che popolano la Turchia, e la soppressione di quelli ritenuti aggressivi o malati. Ritenuti pericolosi da chi? Da municipi compiacenti? Da veterinari stanchi? Da cittadini infastiditi? Troppa arbitrarietà, troppa vaghezza.

Per non parlare poi dei presunti “canili” di cui la Turchia è quasi sprovvista, luoghi che diventano carceri in cui si muore di fame, di sete, di inedia. E quindi? Che si fa con i cani in esubero? Si sterminano, ovviamente!

Accelerata la corsa in Parlamento perché d’estate, si sa, si è tutti più stanchi, più distratti. Ma i turchi sono scesi in piazza, hanno dato vita a manifestazioni che mi hanno ricordato l’incendio dei cuori che si sono riversati ovunque nei giorni di Gezi Park.

Perché se all’epoca di trattava di salvare 600 alberi a Istanbul ( e non sono stati abbattuti, alla fine), stavolta si tratta di salvare 4 milioni di randagi.

Il problema è che Istanbul – che guarda caso  è sfuggita alle mani di Erdogan nelle ultime amministrative – è una metropoli cosmopolita, evoluta, dove i figli di Ataturk conservano memorie e dove l’Islam più oscurantista, estremo, non attecchisce ancora del tutto. Ma c’è l’Anatolia, ci sono i villaggi rurali cui tu ti appoggi per radunare voti, con la complicità dell’ignoranza e delle interpretazioni coraniche (sei bravissimo, tu, a fare della religione politica, sempre). E ci sono gli immigrati afghani, siriani, ecc. che abbagli con le promesse del tuo sultanato.

E a loro dei cani non frega nulla. La maggior parte è convinta che siano davvero impuri, che dopo averli toccati occorra davvero lavarsi le mani. E che portino disgrazie e malattie.

Purtroppo gli animali sono da sempre le vittime designate delle nostre superstizioni. Nel Medioevo noi abbiamo fatto fuori i gatti neri, del resto. Invece nei paesi islamici sono i cani gli sfortunati da da sempre perché Maometto non si è mai strappato un lembo di tunica per non disturbare il loro sonno (come pare abbia fatto con il suo gatto). Anzi, il Profeta pare dica in un hadit che se un cane entra in una casa gli angeli la abbandoneranno. Non sono così certa, io, che lo abbia detto davvero. Così come sono certa, invece, che nel Corano si parla anche della necessità di trattare bene gli animali perché i musulmani saranno giudicati da Allah anche per quello. Dunque non è mai stata una faccenda chiara, diciamoci la verità.

Certamente è per questo che la maggior parte dei cani vive in strada, e non dentro le case.

Ma che facciamo allora, adesso? Dentro casa no, e fuori casa neppure?

Istanbul è sempre stata segno e simbolo, per me e per molti altri viaggiatori di tutti i tempi, della pacifica, meravigliosa convivenza fra gli abitanti e i suoi randagi, completamente integrati nel tessuto urbano e sociale della città.

Da Santa Sofia a Eminonu, conosco uno per uno quei cani e quei gatti.

I cani turchi che abitano le strade sono piuttosto giganti, non c’è nessun nanerottolo come quelli che circolano invece da noi. Ma hanno un cuore così grande che tu ci affogheresti dentro. Sì, quella mole potrebbe intimorire qualcuno, eppure guarda, non ho mai visto nessuno preoccuparsi e scappare. Perché si vede, si vede da lontano che non farebbero mai male a nessuno. Vivono così, osservando i passanti, dormendo davanti alle porte, sui prati, giocando fra loro.

Istanbul senza i suoi randagi non è più Istanbul.

Tra l’altro la relazione di Istanbul con i suoi animali è molto antica. Sono sempre stati presenti, i cani randagi, e sono sempre stati accettati dalla popolazione, solo l’ultimo dei sultani, in linea con il decadimento dell’impero, nel 1910 li ha fatti deportare in un’isola lasciandoli morire di fame e di sete. Poi sono tornati ad abitare la città, come sempre. Perfino nella mia tela d’epoca compaiono i cani, sul ponte di Galata, insieme ai passanti.

La guardo e sospiro.

Nessuna grande città europea ha randagi in giro, sostiene chi apprzza la legge.  Verissimo, ma questo significa che nei nostri canili non vi sia dolore e, in alcuni casi, maltrattamento? Ho sempre detto che a Istanbul i cani vivono meglio che nelle nostre strutture. Sono liberi. Sono nati liberi, e devono vivere e morire liberi.

 

 

 

Il fatto di “non vedere” non elimina la polvere spingendola sotto i tappeti della civiltà? “Se i mattatoi avessero pareti di vetro saremmo tutti vegetariani”, scriveva Tolstoj. Bene, forse se vedessimo il dolore dei canili la smetteremmo di pensare a come siamo civili, con le nostre strade pulite e le cacchine raccolte dai proprietari. “ Il grado di civiltà di un paese si vede dal modo in cui tratta i suoi animali”, diceva Gandhi. Tutti, non solo quelli “di casa”.

 

 

 

Ma l’Islam che rappresenti è quello meno illuminato. Perché nel Corano si ricorre spesso agli animali, e in senso positivo.

Esiste anche una leggenda sufi in cui un cane, che viene bastonato da un uomo per avergli sporcato il vestito, è difeso da un saggio maestro che ne riconosce il valore? “Il cane stesso occupava un certo rango nella Via. Ẻ sbagliato credere che un uomo debba necessariamente essere migliore di un cane” ( "Il giardino cintato della verità", Hakim Sanai).

 

Del resto, i sufi sono mistici, come Francesco d’Assisi. Sono “oltre” etichette, connfini, pregiudizi e superstizioni.

Ma uno dei motivi di questa spinta verso il sequestro e l’esecuzione dei cani randagi è proprio l’intento della radicalizzazione, almeno ad Ankara e Istanbul. Da una parte i “fricchettoni” occidentali, quelli con i capricci, le bizze, che scendono in strada a salvare i cani perché non hanno di meglio da fare, e dall’altra gli uomini “forti” dell’Islam, i duri e puri. Ma sarà mica che c’entra qualcosa anche l’aver perso, per esempio, una città come Istanbul?

 

 

In Europa non siamo per niente felici di questa barbarie in atto. In Europa e nel mondo. Ci sono migliaia di animalisti che stanno tempestando le redazioni e che sanno denunciando questo inutile bagno di sangue.

 

 

E non solo animalisti, anche cittadini “comuni”. Non si  puo' far pagare ai cani le fragilità e i difetti di una legge precedente malamente impiegata (le sterilizzazioni e le vaccinazioni non sono state applicate fino in fondo)”.

Penso con sgomento, orrore e dolore al destino di quei cani meravigliosi che tutti, turchi e visitatori, hanno imparato ad amare.

Non meritano questa mattanza. Sì, ci sono state alcune aggressioni, ma bisogna capire dove, come, quando e soprattutto perché. Almeno a me hanno insegnato così. E, a fronte dell’enorme numero di randagi in Turchia, il numero di episodi è davvero esiguo.

Non si risolve un problema di alcuni con lo sterminio di tutti. Si tratta di un metodo barbaro che getta la Turchia nell’oscurità rispetto al benessere degli animali, una questione che, insieme all’ecologia, diventa sempre più rilevante.

 

 

Fosti proprio tu, nel 2004, a emanare quella legge che ho molto apprezzato: prendere i cani, vaccinarli, sterilizzarli, rimetterli nel territorio.

Non è stato fatto abbastanza, con evidenza di tutti.

 

La rabbia – peraltro non mi sembra sia il vero problema, qui – può essere contrastata proprio grazie a piani come questo. E non è “emergenza rabbia”, lo sappiamo tutti. L’unica emergenza rabbia, qui, è la mia. E quella dei cittadini, uomini e donne, turchi, europei, americani, australiani che non accettano, e non accetteranno mai, questo scempio.

Noi non molleremo. Ci batteremo. Inutili gli appelli al cuore, o alla coscienza, perchè è un fatto "politico". Protesteremo, scriveremo, denunceremo, proteggeremo.

 

 

Non potrò più venire a Istanbul, non potrò più. Mi viene strappata via la città che amo di più al mondo. Non potrò più percorrere le sue strade senza essere a pezzi vedendo gli animali superstiti in attesa di prigione e macellazione. E non vorrò.

 

 

Sto pensando ai cani di Gulhane, ai loro occhi, alla loro attesa di cibo e ai loro giochi. Uno in particolare, una femmina con occhi dolcissimi che sembrano cascati dal cielo. E poi il cagnone tutto nero che staziona vicino al venditore di mais proprio accanto a Santa Sofia. E poi quelli dei parchi, dei prati, delle banchine che si affacciano sulle rive del Bosforo. Cani che finiranno in posti orribili, strutture inadeguate e insufficienti per le quali non hai previsto fondi, ovviamente. Cani che saranno uccisi fra mille scuse e giustificazioni.

 

 

 

Non è giusto. Non mi arrenderò mai. Insieme ai cani viene uccisa anche “la mia Istanbul” che non riconoscerò più.

Mai più.