La ferita di Istanbul

istanbul

 

L'attentato a Sultanahmet mi ha fatto riflettere sulla fragilità, ovunque, dei nostri passi.

Viviamo in un mondo che non ha più confini entro cui ripararsi. In nessun luogo, mai, saremo davvero al sicuro dalla follia di un uomo sempre più incline al precipizio, alla resa dei valori, alla convinzione atroce che uccidere, sfruttare, devastare sia la "norma".

La "banalità del male" è davanti a noi, con ogni evidenza.

E non riguarda solo i kamikaze, i terroristi, gli attentatori.

Riguarda anche il nostro "brillante" Occidente. Riguarda noi, tutti.

Perchè questo mondo va in pezzi.

Lentamente, ogni giorno.

Muore il pianeta, muore la parte più bella di noi.

Finchè non capiremo che dobbiamo ricostruire un progetto globale, finché non avremo chiaro che ogni cultura sta mettendo in gioco, nella scacchiera, mosse dannose per la conservazione dell'equilibrio su questa nostra terra ferita, allora non faremo che assistere a un progressivo, inarrestabile, peggioramento.

Arriveremo al declino assoluto, quello da cui non si torna indietro, mai più.

Istanbul oggi è ferita.

Paga, anche lei, il prezzo di una corsa assurda verso la distruzione totale.

Ma non dobbiamo dividere il mondo in "colplevoli" e "innocenti". Tutti, tutti noi, dovremmo farci carico del nostro pezzettino di responsabilità.

Se non altro, per quanto riguarda l'indifferenza.

Una delle responsabilità più gravi. Pesa, l'indifferena, quanto l'azione.

Anche il nostro tirare a campare guardando solo noi stessi, senza pensare a cosa ci accade intorno, calpestando in continuazione i semi che saranno cibo delle generazioni che verranno dopo di noi, produce, invoca responsabilità.

E questo vale sia  per il nostro piccolo mondo (il nostro condominio, i nostri affetti, le nostre relazioni quotidiane, il nostro paese) che per il pianeta intero.

Istanbul è la ferita di una ferita più grande.

Fa parte di un massacro inesorabile, inarrestabile, che non ha confini geografici, né razze, néreligioni.

E' il massacro dell'uomo che non "vede" più, accecato dall'idea di uno sfruttamento continuo dell'altro, del globo intero.

Per fare e disfare a suo piacimento, ridisegnando terre, sfruttando, rubando, uccidendo.

Siamo tutti kamikaze, in un certo senso. Abbiamo ucciso valori, dignità, speranze, rispetto, onore. Abbiamo deturpato la natura, l'abbiamo violata, massacrandola insieme agli animali che la abitano.
Abbiamo, oguno con il suo piccolo contributo, generato il collasso di una società interà, quella umana.

Altro che "scontro di civilità".

Esiste una vergogna assoluta, che non salva nessuno.

Poi, certo, esiste una scala di maggiori o minori responsabilità.

Ma nessuno è innocente.

Istanbul?

Istanbul è solo un tassello.

Quante volte ho camminato in quella piazza, sostando davanti alla Moschea Blu, rapita dal volo dei gabbiani, di notte.

Mi sono sentita al sicuro.

Tuttavia una sicurezza relativa, perchè scortata, sempre, dal sentimento inquieto dell'appartenenza a un mondo incapace di contenere la sua barbarie, così contrastante con gli angoli di pace che monumenti, piazze antiche, cieli e mari ci sanno offrire ancora.

 

Noi non saremo al sicuro da nessuna parte, finché questo mondo, tutto,  non si deciderà per un'inversione di rotta.

Abbiamo l'icerberg davanti a noi. Come il Titanic.

Ci ha già colpiti tutti.

Ma noi, non vogliamo vederlo.

E troviamo colpe ovunque, allontanando gli spettri, cercando sempre nuovi "demoni" da incriminare. Senza vedere che non ci sono bianchi senza neri, e neri senza bianchi. E che quei confini a volte si spostano, si mescolano, si scambiano il posto.

E finché non cambierà la coscienza globale, il futuro non sarà altro che un buco nero pronto a inghiottire l'orizzonte.

 

Istanbul e gli scrittori: Virginia Woolf a Costantinopoli

Costantinopoli Pacini

 

Quando ci sveglieremo alle 5.30 ci troveremo immediatamente esposti a tutto lo splendore di Costantinopoli. Ma io penso alla Grecia.

E così ci siamo ritrovati, esposti, addirittura prima di arpire gli occhi. Alle cinque e mezzo ho visto la terra scorrere dietro di noi, di un nero marcato, con le pallide luci dell'alba sul mare. Alle sei ero sul ponte e all'improvviso ci siamo trovati di fronte tutta Costantinopoli; ecco Santa Sofia, come un triplice globo di bolle congelate, che prendeva il pargo per venirci incontro. E' come plasmata in un materiale pregiato, sottile come vetro, soffiato in curve piene, se non fosse che è anche massiccia come una piramide.

Forse è questa la sua belleza.

MA dopotutto, bella ed evanescente e perenne com'è, tanto per cogliere aggettivi come more - non è altro che il frutto di un grande giardino fiorito.

Il sole sorgeva rapidamente, di fronte alla città, e l'intera distesa irregolare di case grigie ammucchiate in alto era punteggiata in modo fiabesco e sontuoso da finestre dorate. E così il colore era quello delle case grigie e dei riquadri d'oro pallido e degli scuri ciuffi di verde, poiché tutti gli edifici erano separati da una soffice cortina di alberi.

Siamo passati rapidamente davanti a questa vista meravigliosa, che a ogni istante sembrava rinnovarsi di fronte ai nostri occhi, e così siamo giunti all'affollato specchio d'acqua del fiume, dove il Corno d'Oro si stacca dal Bosforo.

Ma qui il mio punti di vista è stato innegabilmente oscurato, né ricordo altro, come dicono i romanzieri, e loro sì conoscono gli espedienti migliori - fino a . beh, sarebbe giusto dire fino alle sei del pomeriggio circa, quando mi sono seduta davanti alla finestra aperta e ho visto il sole tramontare dietro alla città che aveva rispecchiato l'alba.

Da questa posizione si vede la città dall'alto, o almeno tutta quella che può essere racchiusain una finestra quadrata,  ed è sufficiente a dare l'idea che Costantinopoli sia innanzitutto una città molto grande. Ricordando Atene, ci sentivamo in una metropoli; un luogo in cui si viveva bene.

E questo pareva strano e, se mi è permesso dirlo, un po' seccante. Infatti ti rendevi anche conto che la vita non era vissuta secondo il modello europeo, che non era nemmeno una copia svilita di Parigi Berlino o Londra; e questa pensavi fosse l'ambizione delle città che non potevano essere Parigi né alcuna delle capitali dell'interno. Via via che le luci apparivano a grappoli su tutta la terraferma, e l'acqua si affollava di luci, ti rendevi conto di essere lo spettatore di un dramma appassionato, che andava in scena senza darsi alcun pensiero o senza aver bisogno di certi lontani paesi dell'Occidente.

E in tutta quell'opulenza c'era qualcosa di minaccioso, e qualcoasa di indecente - per una donna inglese alla finestra della propria camera.

In ogni caso, era uno spettacolo stimolante da osservare; e se posso impeigare l'eufemismo di uno scrittore di second'ordine, era per giunta molto bello.

Il Corno d'Oro scava un ampio spicchio azzurro tra due alte sponde di case; così che, come dice qualcuno, ti capita di trovare una nave da battaglia ancorata nella strada davanti a casa.

Poi, il tramonto in lunghe strisce di fuoco e scarlatto, bordate dalla sagoma di camini e moschee sul lembo più basso; le acque azzurre erano illuminate e cosaprse di luci dorate. Le lampade bruciavano nell'aria e nelle profondità della terra; e poi la luna, una mezzaluna, è salita lentamente in cielo, e una goccia pura di luce, la stella della sera, ha indorato le miriadi di lampade.

Poche esperienze sono più esaltanti del primo tuffo in una città nuova - anche quando il tuffo è ostacolato - come lo è stato il nostro stamattina, da un dragomanno turco.

Tuttavia, quando il vetturino ha fatto schioccare la frusta, e i cavalli hanno cominciato a scendere per la collina, abbiamo dimenticato qualunque impedimento.

Nella storia di Costanitinopoli sono state scritte infinite pagine, ma questa, l'ultima, era stata scritta apposta per noi.

(fine parte 1)